giovedì 20 marzo 2008

Onora il padre e la madre: il fallimento dei padri

La storia di Onora il padre e la madre di Lumet, con i due fratelli la cui condotta di vita è completamente divergente, contraria, rispetto a quella dei propri genitori, mi ha riportato alla mente lo scontro fra il vecchio poliziotto e il nuovo killer senza traccia di umanità di No Country for Old Man.
Anche Lumet, come i Coen, sembra interessato a raccontare la comparsa di una nuova tipologia di persona che ha invaso l’America e il mondo: “i barbari” (per riprendere una comoda definizione), coloro che non hanno più legami con i valori della tradizione. In Onora il padre e la madre si assiste alla messa in scena di uno scontro generazionale, fra la cultura del padre e quella dei figli. Il padre (interpretato da Albert Finney, figura che lo spettatore tende ad associare, e non è un caso, al padre sognatore, all’Ed di Big Fish) rappresenta la cultura della fatica, della tenacia, dei soldi ottenuti lavorando una vita, dell’amore per la moglie che rimane intatto anche nella vecchiaia; i figli, all’opposto, tratteggiano dei personaggi corrotti e vigliacchi che inseguono senza scrupoli soldi, successo e benessere: sono la degenerazione fatta carne e sangue del mondo dei padri. [Continua...]

Se il tema può risultare in fondo simile, il modo in cui i Coen e Lumet lo affrontano è completamente diverso. I Coen sono dei barbari che guardano altri barbari, ne sanno prevedere le mosse, sfruttare le loro stesse tecniche. Lumet appartiene ad un’altra generazione. Deve affidarsi pienamente alle regole della composizione, che non infrange se non in superficie. Ma ha un’arma dalla sua parte: un’ironia caustica e amara, un cinismo freddo ma allo stesso tempo canzonatorio che, posto fra lo sguardo della m.d.p. e i suoi personaggi, gli permette di recuperare un adeguato distacco.
È con questo distacco che Lumet riesce ad affrontare un tema delicato e complesso come quello della crisi dell’istituzione famiglia. Egli riesce a parlare non solo della degenerazione dei figli ma anche del fallimento dei padri, di quella generazione a cui Lumet appartiene. In Before the devil Know You’re dead, come in ogni tragedia che si rispetti, i figli devono scontare le colpe dei padri. Sono quest’ultimi i primi caduti nella trappola del sogno americano. Hanno convinto i propri figli che essere ricchi, belli e felici, era l’unica possibilità data, un dovere morale. Il padre scopre la dura realtà proprio parlando a un commerciante di gioielli, un vecchio ebreo cinico e spietato, che ha la sua stessa età. È lui a rivelargli che il mondo è un posto malvagio. In cui alcuni fanno i soldi, mentre altri, semplicemente, crepano. [Continua...]
Before the devil Know You’re dead mette in scena non tanto la rovina di una famiglia, quanto quella di una società. Una società che ha perso – come direbbe Umberto Galimberti – la disposizione ad educare. Che si è limitata a pro-curare qualcosa, invece che a curare. Che non ha educato all’accettazione incondizionata dell’altro. La formula enunciata da Sant’Agostino, “volo ut sis” (voglio che tu sia quello che sei), è rimasta lettera morta.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

concordo pienamente sul concetto di barbari.
Che delusione quel finale e che impressione le ventose per l'elettrocardio sul petto anziano di quel barbaro padre !

Riccardo Castellacci ha detto...

La figura che Lumet disegna del padre è terribile e interessante. E' come se il buon Ed di Big Fish (perfetta la scelta di Finney) si fosse risvegliato tutto di un tratto dal sogno in cui era calato e avesse compreso quanto è terribile il mondo ("The world is an evil place"). Non ci si può nascondere a lungo dietro le storie e i sogni. Uccidendo il figlio, il padre uccide se stesso, il suo futuro.
Il finale mi è apparso ben riuscito, sprezzante e in parte canzonatorio: un vecchio che si incammina verso la luce... mentre i fatti parlano del perfetto contrario.
I personaggi del film più che maschere e ruoli, sono insetti da laboratorio (la prima inquadratura in questo senso è rivelatrice), per questo, credo, producono quell'impressione di cui parli.

Grazie del commento, gaia,
passerò presto dal tuo blog,
rc