sabato 22 marzo 2008

Andare a vedere Vogliamo anche le rose

15/3/2008. Sabato sera. Un cinema del centro fiorentino. L’unico fra Firenze e provincia in cui proiettano Vogliamo anche le rose (documentario sulle rivendicazioni femministe tra gli anni sessanta e settanta). Il Fulgor: cinque sale e una facciata da Odeon americano. Ma il west è lontano, qui nella teca del rinascimento. Il cinema si trova in borgo Ognissanti, via acquitrinosa che dal ponte alla Carraia conduce fuori dal centro, verso i viali, verso quel bastione solitario a guardia della periferia di automobili e cemento armato che si chiama Porta al Prato. Borgo Ognissanti, via della Firenze bassa, viva e multietnica, è incastonata come un tumore nella città in svendita dei propri reperti autoptici. [Continua...]

Davanti all’entrata del cinema ci sono gruppi di ragazzini, coppiette e qualche spettatore accompagnato dal telefonino. Molti sono venuti per vedere Grande, grosso e verdone. Lo proiettano nella sala 'mercurio', la più ampia, 270 posti.
Vogliamo anche le rose è proiettato nella sala venere, quella più piccola, 99 posti di passione cinematografica. È quel genere di sala in cui entra solo un certo tipo di pubblico. Molti non ci hanno mai messo piede. O fuggono appena entrati.
È l'unica al piano superiore. La 'soffitta', viene da pensare. Mentre mi incammino sulle scalette sento dietro di me lo sguardo dei ragazzini: mi compatiscono e, allo stesso tempo, mi temono. Come un animale estraneo che tutto sommato rende l’ambiente più caratteristico.
Noto che nel pomeriggio, prima di Vogliamo anche le rose, nella stessa sala era proiettato John Rambo. Peccato non essere arrivato nel momento di avvicendamento fra i due pubblici. Chissà quali occhiate si sono scambiati, scrutandosi e disprezzandosi reciprocamente. Maschilisti contro femministe. Etero contro omo. In entrambi i casi, più che altro, un pubblico di nostalgici, ma di due decenni in contrapposizione fra loro: ottanta contro settanta.
Arrivo prima della fine dello spettacolo e guardo il pubblico uscire. Sono proprio curioso di vedere gli spettatori fiorentini di Vogliamo anche le rose. Mi piacerebbe scoprire insieme madri e figlie. Nonne e nipoti. Sessantottine sessantenni e ragazzine quattordicenni a braccetto, insieme. Con la possibilità di un confronto generazionale in sala. Invece è sempre il solito pubblico. Autoreferenziale. Me compreso. I ragazzetti restano giù affacciati a Grande grosso e verdone o 10.000 a.C. I genitori nella piccola sala a vedere il cinema d’essai. Su venere stasera, non c’è nessuno che abbia meno di venticinque anni. Dovranno costringerli, gli studenti, a vedere Vogliamo anche le rose. Con programmazioni riservate alle scuole. Non è già un fallimento?
Ma a poco a poco capisco che c’è qualcosa di diverso nel pubblico. Ci sono molte coppie di lesbiche. Non ricordo molti casi simili, se non proiezioni in circoli dell’Arci o nel freddo di qualche centro sociale. Mi sorprendo a sorprendermi. Chissà cosa hanno pensato quei ragazzini quando hanno visto salire le lesbiche. Forse la cosa li ha incuriositi. Io mi sento inorgoglito di appartenere al club delle ultime sale, in cui la divergenza fra pubblico e privato è più sottile e sfumata. Questa sale sono specie di privé nel corpo del cinema. Un prolungamento del divano di casa.
Il pubblico della sala venere si disperde nei pochi posti. Anche non volendo gli spettatori finiscono per ritrovarsi uno accanto all’altro. Alcuni si sfilano le scarpe, altri si allungano su due o tre poltroncine. Il silenzio rimane assoluto e costante. Nessuno mangia. Nessuno fiata.
Il film è già iniziato quando entra una coppia (etero). Si capisce da come sono vestiti che hanno sbagliato sala. Forse pensavano di vedere un film romantico. Ho notato nel loro volto una sfumatura di disprezzo e paura, quando entrando hanno intravisto la sala e il suo pubblico. Dopo pochi minuti ridacchiano, forse per cercare di distendere la tensione. Non sanno che in questo modo aumentano l’ostilità nei loro confronti. Dopo qualche minuto iniziano a parlottare fra loro, come se si trovassero nel multiplex da cui certamente provengono. Qui non hanno cittadinanza. È la sala unita che protesta. «Chi sta parlando? » - urla qualcuno dal fondo. «Basta, silenzio» - li fa eco un’ombra dall’altra parte della sala. Coro di approvazione. Ai due non resta che scappare. Quando escono posso sentire la sala venere emetttere un sospiro di sollievo, all’unisono. Finalmente se ne sono andati. L’ordine è stato ristabilito.
La sala torna a vedere nel suo modo il suo film.

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