venerdì 4 aprile 2008

My bluberry nights, ricordi, dolci alla ricotta


Tutte le notti nel locale di Jeremy (Jude Law) si ripete la stessa storia: alcuni dolci, come il cheesecake all'ananas o la muosse al cioccolato, sono completamente finiti. Di altri rimane sempre l’ultimo pezzo. Ma il dolce ai mirtilli, il bluberry pie, non viene toccato. Nessuno ne ordina mai una fetta. Non ha niente che non va, è un dolce buonissimo, ma probabilmente la gente si vergogna a ordinarlo.
Nell’ultimo film di Wong Kar-wai, My bluberry nights, Jeremy offrirà questo segreto a Elisabeth, (Norah Jones), un po’ per consolarla, un po’ per adescarla.

Mentre preparavo i miei esami alla Facoltà di lettere ho fatto per anni il cameriere, in diversi ristoranti, ma in uno in particolare. Mi ricordo che accadeva più o meno quello che viene raccontato nel film. Alla fine della serata, quello che per me e gran parte della cucina era il dolce più buono restava, se non proprio integro, molto lontano da l'essere finito. Il dolce “alla ricotta” non poteva competere con il “sette delizie”, i vari profiteroles al cioccolato bianco, le crostate di frutta esotica. Era chiaramente un problema di natura linguistica, non culinaria. Non ho mai suggerito di cambiare il nome del dolce. “Dolce alla ricotta” aveva per me una rispettabile e umile dignità. Sapere che alla fine del lavoro avrei potuto contare sulle sue morbidezze era una certezza e una consolazione. Alla fine io e il dolce ci compativamo a vicenda. [Continua...]
Cosa c’entra questo ricordo con il film? Poco. Solo per dire che il cinema del regista cinese Wong è sempre entrato a far parte del mio vissuto. Alcuni suoi film, visti quando avevo poco più di vent’anni, quando vedere un film era come ascoltare una canzone, sono diventati parte del mio modo di guardare. As Tears Go By, Hong Kong Express, Happy Together, Angeli perduti, e poi successivamente In the mood of love e 2046 (quest'ultimo è stato una mezza delusione), hanno significato anche la scoperta di una nouvelle vague ad Hong Kong.
My bluberry nights
non è un film bello come i precedenti. Wong, oltre ad indugiare in uno stilismo che sembra farsi sempre più maniera, ha perso soprattutto la leggerezza, quella che faceva di un film semplice come Hong Kong Express un’opera delicata ed emozionante. Tuttavia vorrei difendere My bluberry nights, anche solo per partito preso, perché lo considero migliore di 2046 (almeno non soffre di decostruzionismo spinto) e perché esso nasconde più doti di quante ne mostri. La mia recensione sul film uscirà a breve su drammaturgia.it (appena sarà ripristinato un server andato distrutto) e qui vorrei dare solo qualche accenno.
My bluberry nights è un road movie intimistico, tutto girato in interni, che ancora una volta conferma come non si possa andare da nessuna parte: l’unico viaggio che oggi possiamo fare è quello del nostro modo di vedere. Elisabeth, la protagonista, diverrà una spettatrice, degli occhi che guardano: le cose accadranno ad altri, fuori da lei.
La figura retorica del film di Wong è ancora una volta il close-up, il primo piano ravvicinato, sia sugli oggetti (il dolce che nella prima inquadratura diventa un amplesso di colori), sia sui volti (il bacio dei due protagonisti), ma anche sul tempo (l’uso del ralenti, che dilata ogni secondo). La stessa immagine, vista da vicino, da più punti di vista, e rallentata, si slabbra, perde i confini e si mostra per quello che è: un guscio vuoto che non racchiude niente.
I personaggi del film sono spesso visti attraverso qualcosa, uno schermo, dietro una vetrina su cui si riflettono le luci delle insegne, attraverso l'occhio freddo delle telecamere che riprendono l'interno del locale. I personaggi a loro volta guardano qualcosa che spesso sfugge, ma che è, in genere, un fuori campo che noi non vediamo e di cui cogliamo solo qualche segno, una strada, un semaforo, un treno che passa.
Fatto della distanza che intercorre fra i personaggi e i loro sguardi, My Bluberry Night è un film nostalgico,
una elegante e raffinata mise en abyme, in cui quello che si desidera e si cerca, alla fine, è il cinema.

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