venerdì 23 maggio 2008

Gomorra di Garrone (recensione di Lucia Di Girolamo)


Riporto con piacere una bella recensione di Lucia Di Giroloamo, pubblicata
integralmente su drammaturgia.it. Lucia è una dottoranda di cinema che conosce molto bene, attraverso il filtro di una esperienza diretta, la cruda realtà di cui parla il film. In questa recensione "viscerale" si percepisce l'attaccamento, la ferita profonda, la delusione, tutto quel groviglio di sentimenti che è legata a questa semplice e alcune volte tragica frase: "questa è la mia terra".

"C’è una Napoli che precipita ogni giorno e ogni giorno diventa Gomorra.
Gomorra, il nuovo film di Matteo Garrone, sconvolgerà molte coscienze, ma racconta una realtà che per milioni di napoletani è la normalità. [...] Lo sguardo di Garrone penetra in questa terra che sembra a tratti un deserto selvaggio, a tratti un labirinto alla Piranesi, a tratti un paesaggio da cartolina che ha scordato la sua bellezza.
La macchina a spalla, con l’inclemenza e la freddezza dell’osservazione partecipante, scruta in maniera impietosa i volti e i corpi – sublimi e orribili - di quest’esercito d’affiliati, pusher, conniventi, affaristi, che ruota attorno alla Camorra. [Continua...]Garrone e i suoi sceneggiatori (tra cui lo stesso autore del libro) hanno scelto di omettere l’impressionante scena del porto che apre il romanzo di Saviano. [...]
Non c’è nessun manierismo nel raccontare e nessuna reticenza nel rivelare. Garrone ci fa vedere tutto, anche quando non ci mostra tutto. A volte l’occhio della cinepresa è così vicino a quei corpi, così dentro alle soffocanti case di quella macchina architettonica per la proliferazione della criminalità che sono le vele di Secondigliano, che sembra di avvertire l’odore del sangue misto al sudore della paura. Le vele sono lì, poche volte si è parlato di quei labirinti, sicuramente nessuno come Garrone è riuscito a raccontarne l’atmosfera. Ed è curioso che proprio adesso, in questo periodo in cui Napoli balza all’"onore" delle cronache per altre questioni, sia proprio lui, romano, a narrarne la realtà più inenarrabile. Così come è curioso che un napoletano, Paolo Sorrentino, restituisca nel suo ultimo film, Il Divo, presentato anch'esso a Cannes, un ritratto del potere "centrale" di Roma. Si sono invertiti di ruolo o semplicemente queste realtà potrebbero essere interscambiabili? Tutta quell’assurdità è solo napoletana o è forse ascrivibile a tutto il territorio nazionale? Che umanità è questa? Il caleidoscopio dei piccoli fatti, dei mille mestieri, delle perenni recite della napoletanità (della romanità, dell’italianità?) o, piuttosto, il ritratto di una società che precipita, perdendosi nei corridoi senza uscita di un posto come Scampia? Il film di Garrone più che crudo, è rigoroso. È quel rigore necessario per denunciare, per restituire "fenomenologicamente" i fatti, per colpire al cuore le coscienze di chi non ha mai pensato – o ha sempre fatto finta di non pensare - che nello scempio paesaggistico di un litorale martoriato da mostri di cemento potessero essere sepolti i corpi di due ragazzini che volevano essere Tony Montana. © drammaturgia.it - redazione@drammaturgia.it

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